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Trento, 30 aprile 2013
Boato e l’attentato di Roma
«Disperazioni solitarie ma il rischio eversione c’È»

«Oggi la strategia della tensione è improponibile, temo per il prossimo autunno,
quando l’emergenza disoccupazione s’inasprirà»
«Preiti, il duplice delitto di Perugia e l’assalto a Equitalia rimangono comunque casi isolati»
«I movimenti vigilino: c’è chi vuole spostare il conflitto sociale sul terreno della violenza»

dal Trentino di martedì 30 aprile 2013

Una catena di suicidi che quasi ogni giorno si allunga: piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. E disoccupati. Ora anche gli attentatori solitari: che si barricano nelle sedi di Equitalia sequestrando decine di dipendenti (in provincia di Bergamo, un anno fa), assaltano uffici regionali uccidendo due impiegate (a Perugia, lo scorso marzo), seminano il panico nel cuore di Roma, davanti ai palazzi del potere, ferendo gravemente due carabinieri.

Forse ci si dovrà abituare a una nuova mozione del termine “terrorismo”: dalla lotta armata organizzata più o meno di massa, spinta dall’ideologia, a solitudini disperate, vittime della crisi economica. Con pistole rivolte però non più solo verso se stessi. Un anno fa, quando a Genova venne “gambizzato” Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, si trattò di un atto di terrorismo vecchio stile, per quanto isolato.

E Marco Boato, che gli anni di piombo li conosce come pochi altri in Italia, allora disse chiaramente che «la crisi economica può effettivamente costituire un terreno di crescita, per gruppi clandestini, per cercare un’espansione sociale».

E oggi, Boato?
La vicenda di Roma, per quanto drammatica, non va interpretata seguendo i canoni delle vicende terroristiche degli anni ’70 e ’80. Mi ha però colpito che il presidente del Senato Piero Grasso, che è stato un alto magistrato antimafia, sia pur per escluderla e dicendo che va evitata, abbia evocato la categoria della strategia della tensione. Che con l’attentatore di Roma non ha nulla a che vedere. Per come l’abbiamo conosciuta tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, il paragone non è assolutamente proponibile. Allora il termine aveva un significato preciso: la presenza di forme di terrorismo e stragismo che avevano una matrice di estrema destra, ma anche evidenti e dirette complicità negli organi di sicurezza dello Stato. E per la mia esperienza degli ultimi decenni, escludo categoricamente che oggi vi possano essere tentativi occulti di alimentare o rinfocolare la tensione che c’è sul piano economico e sociale. Anche perché allora più netta era la continuità con il periodo fascista di parte dei vertici dello Stato, anche dal punto di vista anagrafico. Certo. E poi la cornice era quella della guerra fredda, con l’Italia fianco sud della Nato, e con il blocco comunista al confine orientale. Sono tutte condizioni istituzionali che oggi sono scomparse. Oggi al posto della guerra fredda abbiamo invece la crisi economica e finanziaria. Che produce casi come quello della sparatoria di domenica scorsa. Non si tratta del primo episodio con al centro persone esasperate dalle condizioni economico-sociali. Ma questo caso è segnato anche da scelte sbagliate di vita personale: matrimoni falliti, il gioco d’azzardo, i debiti ... Anche se c’è da interrogarsi sul perché, come ha detto lui stesso, l’attentatore si sia procurato l’arma quattro anni fa e abbia deciso di usarla solo ora. Finora però nelle cronache queste disperazioni si concludevano soprattutto con suicidi.

Ci stiamo forse in parte “americanizzando”?
Casi del genere, se la crisi non allenterà la presa, potrebbero iniziare a ripetersi?
È possibile, ma non lo ritengo probabile. Credo che quelle persone che si sono tolte le vita per problemi economici lo hanno fatto proprio perché non avevano alcuna intenzione di commettere atti di violenza su altri. Certo, abbiamo assistito a un assalto a Equitalia, al duplice assassinio di Perugia: ma si è trattato in fondo di due episodi isolati. In generale credo che difficilmente drammi personali come quelli che portano a togliersi la vita possano tramutarsi, per emulazione, in fenomeni di aggressione armata nei confronti di altre persone.

E il rischio del terrorismo vero e proprio?
Preiti ha detto che voleva sparare a politici: disperazione individuale, ma indirizzata con precisione. Questo mi preoccupa di più. Quelli che per ora sono casi individuali di violenza, per esasperazione personale originata da fallimenti di vita non sempre solo economici, potrebbero effettivamente saldarsi con fenomeni ideologico-politici. Anche qui comunque va detto, e ripetuto, che non ci sono oggi le condizioni per un terrorismo politico di massa, con migliaia di militanti come alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli ’80. Il contesto sociale di allora è ovviamente irripetibile. Abbiamo però a che fare con settori, benché molto più marginali e limitati rispetto al passato, che hanno interesse non tanto ad alimentare il conflitto sociale, che in una società liberale e democratica è fattore positivo perché produce cambiamenti, ma ad esasperarlo e canalizzarlo in chiave eversiva. La crisi insomma come terreno di crescita per la nuova eversione. Finora però non è ancora accaduto. Siamo però di fronte a uno scenario drammatico di disoccupazione, precarizzazione ed emarginazione che non è destinato a finire in pochi mesi, anche a prescindere da quanto farà il nuovo governo. E nella drammaticità della crisi che investe i maggiori poli industriali e le grandi città, questo tentativo di spostare i conflitti sociali sul terreno eversivo può farsi concreto. Penso soprattutto ai mesi che verranno, al prossimo autunno, quando maggiori saranno le tensioni nel campo del lavoro: potrebbe bastare poco per far degenerare la situazione. Un nuovo “autunno caldo”, come in quel lontano 1969 che si chiuse con la strage di piazza Fontana. Ovviamente mi auguro che non avvenga. Ma bisogna stare in guardia. Saranno pure ultraminoritare, ma espressioni che si rifanno al linguaggio totalitario di allora sono ancora presenti. Da questo punto di vista sarà necessaria la massima vigilanza non solo degli organi dello Stato, ma anche di partiti, sindacati, associazioni. E naturalmente i movimenti, che hanno un ruolo positivo ma che potrebbero essere oggetto di infiltrazioni.

Pensa ai No Tav?
Anche, per quanto tra le due anime che compongono il movimento quella ultramaggioritaria sia quella rappresentata dai sindaci e dai territori, che incarnano la protesta democratica. Ma il rischio è proprio qui: che qualcuno sposti lo scontro sul terreno della violenza.

 

  Marco Boato

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